Acate, piccolo paesino della provincia di Ragusa, il mio paese di infanzia dove tutto sembra essersi fermato, compreso l’orologio della piazza che da due anni segna imperterrito le due e trenta.
Mia madre dice che è  preciso : “almeno due volte al giorno segna l’ora giusta”. Quando mi trovo seduto nella veranda della mia casa di infanzia e alzo gli occhi  per vedere l’ora , non so se sia più grande il fastidio di non sapere l’ora esatta o quello di essere intrappolato nella dilagante accettazione di chi pensa che le cose non possano essere cambiate.

Appena rientrato da un fantastico meeting a Boston  al MIT insieme a tutti i Fablab  del mondo, seduto a gustare una granita, gli occhi vanno all orologio e questa volta carico delle attività e dell impegno degli amici makers  decido che è  arrivato il momento di far funzionare l orologio.
Alle 22.30 di un afoso Sabato  sera scrivo un post su Facebook per capire come muovermi.
Le prime risposte legate alla analisi del problema variano dal fulmine stile ritorno al futuro al perno mancante ad argomentazioni sentite dal cugino del cugino.

Alcuni amici si offrono di aiutarmi, compreso il parroco che da la sua disponibilità anche se, pur essendo ubicato nella chiesa madre, l’orologio è  gestito dal comune. Serve la chiave della torre.

Dopo un paio di telefonate , insieme a Mario e Sergio, un paio di amici che hanno voluto seguirmi in questa avventura riusciamo a salire nella torre per capire cosa fosse successo all orologio.
Dopo aver salito una ripidissima  scala ci ritroviamo alla fine dei gradini senza l’ombra dell’orologio. Bisognava uscire e salire una scaletta esterna per arrivare alla porticina che custodisce un meraviglioso meccanismo meccanico con alcuni automatismi elettrici della ditta Roberto Trebino  di Uscio, in provincia di Genova.

È  bastata una piccola spinta al pendolo partita dal dito di Mario per risentire il rumore del ticchettio che era preludio di una serie di rotazioni di ruote dentate che ridavamo  vita alle lancette dei due grandi quadranti.

Una buona lubrificazione  e l’analisi dei meccanismi  ci ha fatto godere di alcuni rintocchi che, anche se per alcuni possono essere fastidiosi,  sono l’unico modo per trasferire la sensazione del tempo che passa dalla vista all udito e per noi che eravamo in quel piccolo spazio riuscivamo a percepire il tempo anche con il nostro corpo.

La vista era magnifica ma ancora più magnifica la sensazione finale, quella di affacciarsi dal balcone di casa e vedere l ora esatta dall orologio del paese.

Spero solo che questa piccola attività svolta in maniera autonoma sia un campanello di allarme, una sorta di sveglia per tutti coloro che sono rassegnati e pensano che “le cose sono ormai così”, che pensano che “c’è sempre qualcuno che potrebbe farlo al posto loro” e pensano “chi te lo fa fare?”.
Mi piacerebbe che queste persone capiscano che oggi è  importante mettersi in gioco a prescindere da tutto e da tutti  e che se vogliamo che qualcosa cambia prima di dire che è  impossibile, alzino lo sguardo, guardino l’orologio perché  adesso è l’ora giusta per farlo!

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