Nell’era precedente a Google Translate, mi trovavo in Giappone e vedendo un tipico negozio di timbri giapponesi ho desiderato avere il mio timbrino con l’ideogramma “RE”. Semplice, basta entrare e comprarlo, avevo pensato in quel momento. Niente di più sbagliato.
La commessa non parlava inglese e tutti i miei sforzi grafici con disegnini su carta o gesti mimici non riuscivano a far collimare la mia idea di “Re” con il “王”  giapponese.
Ricordo che comprai un timbrino con un ideogramma simpatico che ancora oggi non so cosa significhi.
Qualche settimana più tardi, passeggiando nel lungomare di San Benedetto, una signora tedesca tenta di comunicare con l’edicolante. Anche in questo caso niente da fare. Abbiamo dovuto attendere l’arrivo di un turista tedesco che parlicchiava italiano per capire che la signora voleva una ricevuta per le riviste acquistate.

Fin quando ero in Giappone non avevo sviluppato quello che iniziava ad insinuarsi nella mia mente. “Non può essere che popoli così vicini siano legati ad una forma di comunicazione verbale totalmente inefficace“. Deve esistere una qualche forma di comunicazione che semplifichi la comunicazione a prescindere dalla lingua o dal paese di provenienza.

In effetti la soluzione c’è, si chiama SIMBOLO. Hegel distingue il simbolo dal segno che «rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello che ha per sé.» Mentre cioè nel segno il contenuto è del tutto diverso dalla sua rappresentazione, nel simbolo l’oggetto simbolizzato è simile alla sua espressione simbolica così come accade allo stesso modo con l’analogia.
« Il simbolo è più o meno il contenuto che esso esprime come simbolo »

Un punto interrogativo è simbolo di domanda e il disegno grafico di coltello, forchetta a cucchiaio indica universalmente un posto dove andare a mangiare.
Fu questo il concetto che mi portò a realizzare questa t-shirt che uso in ogni mio viaggio all’estero.
Devo fare pipì? Basta mettere un dito sul simbolo del bagno ed un altro dito nel punto interrogativo e qualsiasi persona di questa terra mi indicherà la via più breve per arrivare al bagno.

Questa stessa idea, in maniera più strutturata l’ha avuta Edward Boatman, che ha messo in piedi il progetto The Noun Project. L’idea è quella di raggruppare quanti più simboli possibili assegnando l’informazione verbale per ogni linguaggio conosciuto.

Le icone sono in Creative Common e disponibili a tutti. Un modo semplice per rompere le barriere del linguaggio e semplificare la comunicazione tra popoli.
Avendo dei simboli o delle icone è possibile raccontare anche una storia complessa. Non ci credete? Godetevi questo Star Wars Episodio IV in iconoscope dal genio di Waine Dorringtone

3 thoughts on “Un mondo, un icona.

  1. Simboli o icone? L'icona è un segno il cui significante (la parte percepibile del segno) assomiglia alla realtà rappresentata;il simbolo è un segno il cui significante NON assomiglia alla realtà rappresentata.

    Il linguaggio vivivo è una grande idea, certo, la maglietta è formidabile, ma le icone sono più efficaci dei simboli per la comunicazione tra popoli di lingua diversa. In compenso i simboli sono più profondi e coinvolgenti.

    Se posso permettermi, in questo link ci sono maggiori delucidazioni: http://polisemantica.blogspot.it/2006/06/segni-simboli-icone-e-indici.html

    Ciao

  2. Seguo da anni il vostro blog, ho pure comprato il vostro e-book sulla comunicazione polisemantica. Avete perfettamente ragione, in effetti questo articolo si concentra di più sull'icona, sulla chiara percezione del significante.

    …mi avete convinto. Cambio anche il titolo!

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