Matteo Ranzi, di Mille Ottani  è un consulente marketing specializzato nel Settore IT.  Leggevo le sue riflessioni sul marketing sia sulla sua pagina facebook che sulla magnifica rivista Digitalic. Francesco Marino, direttore responsabile della rivista ha ben chiara la missione : “Vogliamo dimostrare che la tecnologia è bella. Vogliamo provare che nulla come la tecnologia migliora la vita delle persone e delle aziende.”

Con questa premessa, dopo che Matteo aveva letto il libro #communitymanager, che ho scritto insieme ad Osvaldo Danzi, e dopo aver vissuto in prima persona l’avvio della community dei “paninari”,  vengo contattato con la richiesta di una intervista per comprendere al meglio cosa c’è alla base del successo di una community, dal fattore aggregante al concetto del dono.

Eccovi riassunti in alcuni punti i contenuti della nostra discussione che potete vedere in video sulla pagina facebook di matteo o in cartaceo sul n.84 di Maggio 2019 della rivista Digitalic.

Al centro di una community ci deve essere il “dono”, e il ritorno a cui ambire deve essere la reputazione. Ci spieghi meglio questi concetti?

Stiamo vivendo un’economia in cui ognuno di noi può mettere a disposizione competenze uniche, conoscenze verticali o talenti particolari come merce di scambio. In questa dinamica succede qualcosa di particolare: ci si sente gratificati per i “grazie” ricevuti e simultaneamente aumenta la propria reputazione all’interno della nicchia della propria community di riferimento.

Se un’impresa ha come scopo l’interesse, quindi vendere di più, la community non è la strada giusta?

A monte di ogni progetto aziendale ci deve essere un reale interessamento nei riguardi dei partecipanti alla community. Se si lavora con il cuore, relazionandosi con le persone che vogliono entrare in relazione con l’azienda, la vendita sarà una naturale conseguenza.

Delle cinque tipologie di community che indicate nel vostro libro, quella “professionale” è la più difficile. Perché?

I professionisti, messi in relazione tra pari, tendono a pavoneggiarsi. Il rischio di autocelebrazione è molto alto e il tema del dono è tra i più difficili da mettere in atto in quanto si cercano di mantenere i propri segreti per evitare di fornire strumenti alla “concorrenza” presente nella community.

2. il community manager

Tutti i gruppi social sono community, o un gruppo deve avere delle caratteristiche particolari per diventare una community?

Con Osvaldo Danzi, abbiamo determinato senza ombra di dubbio che una community è tale quando esce dal web e si incontra dal vivo. Continuare, senza soluzione di continuità, discussioni che sono nate in un post e proseguono faccia a faccia con persone con le quali si è già entrati in empatia è una esperienza incredibile.

Che ruolo ha il community manager e che caratteristiche deve avere per essere valido?

Il community manager deve essere una persona empatica, che riesca ad ascoltare e convogliare le emozioni di altre persone. Deve attrarre e stimolare dando allo stesso tempo prova di affabilità e senso morale. Nella sua giornata tipo deve essere in grado di creare contenuti accattivanti per coinvolgere le persone, entusiasmarle e, come premio del suo ottimo lavoro, generare fidelizzazione e condivisione per far crescere la presenza on line della propria community.

3. le community aziendali

Quali consigli hai per far crescere una community legata ad un brand?

Ogni brand ha dei clienti devoti che sono disposti a far di tutto per connettersi attivamente con la loro azienda del cuore. Bisogna intercettare queste persone ed entrare in relazione con loro. Salire in macchina, andarci a pranzo e fermarsi ad ascoltarle empaticamente, per definire insieme cosa fare per aumentare l’esperienza che ognuno di loro vorrebbe vivere con il brand.

Cosa ci insegna l’esperienza della brand community de “Il Camperista”?

La community de “Il camperista”, pur nascendo dalla volontà di un brand produttore di camper, fa community senza mai citare l’azienda in maniera aperta e diretta. Non propone né vende i propri camper, ma li posiziona attraverso la propria reputazione in qualità di opinion leader di prodotto riconosciuto. La partecipazione ad eventi e momenti di incontro porta i propri clienti fidelizzati a diventare advocate attraverso lo scambio di conoscenze apprezzati dal resto dei partecipanti alla community.

Se voglio creare una community professionale, è meglio partire con un gruppo Facebook o LinkedIn?

Essendo (quasi) tutti su Facebook l’apertura di un gruppo viene velocizzata e semplificata per la creazione di una community generalista. Se si vuole sviluppare una community professionale non c’è dubbio che i gruppi LinkedInpossano aiutarci ad ottenere un successo duraturo. Una buona descrizione con la mission della community è indispensabile per iniziare con il piede giusto.

Il mito dei top influencer sta un po’ vacillando. Per un brand è dunque meglio una community di advocate, come per Abarth?

Le persone che riescono a prendere distanza con un vecchio tipo di comunicazione capiscono che non può nascere un legame realistico e di lunga durata, usando i fuochi di paglia generati da influencer ingaggiati dai brand, senza una visione lungimirante. Abarth ha evitato questo approccio intercettando i propri clienti appassionati che già si radunavano in community spontanee. Coinvolgendo e offrendo esperienze a queste persone genuine e appassionate si generano contenuti credibili e si rafforza il senso di coesione tra loro e il brand.

Come fa un’impresa ad individuare il valore aggregante intorno a cui costruire una community coesa?

Le community nascono intorno ad una necessità, ad una conversazione diffusa e poi canalizzata dove chi tira le fila viene riconosciuto in maniera naturale. Non esiste una community senza un leader di riferimento che conosca ogni persona, la motivi e la coinvolga. Il community manager diventa il valore stesso della community.

I chatbot sono un rischio per la carriera dei community manager?

I chatbot possono aiutare il community manager nelle fasi ripetitive nella gestione di una community, ma bisogna sempre e in ogni caso usare il tocco umano per evitare l’allontanamento immediato di chi vuole connettersi con persone e non con algoritmi.

Alcune community hanno una partecipazione molto elevata, altre per nulla. Eppure spesso sono gestite apparentemente in modo simile. Cosa potrebbe determinare la differenza?

La passione del community manager è, di solito, una cartina tornasole che indica la freschezza e la vitalità della community. Se manca l’integrazione del management nel progetto di community, questo si ripercuoterà negativamente nella partecipazione.

In tutte le community, in quanti leggono, in quanti domandano e in quanti rispondano o creano contenuti?

Di solito su cento persone, ce ne sono novanta che leggono, nove di questi, superando lo scoglio della paura iniziale, inizieranno timidamente a fare delle domande e solo l’un per cento risponderà alle questioni, raccogliendo fiducia e reputazione.

Il tuo motto “sapere, fare, saper fare e far sapere” vale anche per chi volesse intraprendere la carriera di community manager?

Assolutamente sì. Non puoi fare se prima non conosci bene e solo quando inizi a focalizzarti su qualcosa entri nella fase del “saper fare”. Dopo le diecimila ore trascorse nella tua nicchia puoi passare alla quarta fase, quella del far sapere che ti consentirà di raccogliere fan intorno alla tua missione.

Per concludere, quali sono gli errori che non si devono commettere in una community?

Evitare di monetizzare a tutti i costi. Evitare di bannare le persone o censurare un post. Il controllo emotivo deve essere altissimo. Riconoscere ai propri collaboratori i giusti meriti evitando di mettere sul piedistallo qualcuno che agli occhi della community non merita questo premio. Una community funziona quando più si riesce ad offrire uno spazio anche a coloro che non sono portati ad emergere naturalmente. Empatia ed entusiasmo online e offline. Sempre.

Ciò che avete letto è una parte dei vari argomenti che abbiamo descritto con Osvaldo nel nostro libro #communitymanager, edito da Franco Angeli,  che potete trovare nelle migliori librerie o su Amazon.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *