Quando sono ad Acate, nella mia Sicilia dove ho vissuto la prima parte della mia vita, amo tuffarmi nel passato rovistando tra i cimeli della mia ex cameretta ormai adibita a museo storico.

Cercando la vecchia reflex di mio padre, una Canon AE1, mi sono imbattuto in questo piccolo gioiello.

Ferrania Rondine linear 7.5.

È stata la mia prima macchinetta fotografica. Colei che mi ha avvicinato alla camera oscura, allo sviluppo dei negativi, alla stampa fotografica nel laboratorio casalingo. Le serate passate con mio padre a dar vita alla magia della luce che trasformava dei fogli bianchi in opere d’arte.

Come di riflesso ho pensato alla semplicità con la quale si scatta una foto oggi. Come si archivia un momento assommandolo a tanti momenti pressoché uguali.

La conclusione è che si tratta di due cose completamente diverse che, ahimè, hanno lo stesso nome. La fotografia, quella con la “F” maiuscola fa parte del mio passato. Per catturare l’attimo dovevi pensarci e far muovere il dito solo quando l’attimo era allineato con la tua emozione e non c’era un Photoshop che ti rielaborasse l’errore.

Sono ben contento che mia figlia Selene ha percepito questo passaggio. Oggi ha comprato il suo primo rullino fotografico. Caricherà la vecchia reflex del nonno e vivrà per la prima volta l’ansia dell’attesa delle stampe, elemento cruciale che ha dato il colpo di grazia alla fotografia su rullino. Oggi l’attesa non esiste più. Il piccolo display rivela immediatamente l’emozione catturata e conseguentemente ne sminuisce l’efficacia.



Non voglio dire che sono contro il digitale, credo solamente che per creare foto che ti emozionino bisogna conoscere la luce e per far questo devi passare dalle origini, capire il perché delle cose e quindi agire al massimo delle possibilità che ti vengono offerte dagli strumenti odierni. Fotografia compresa.

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